58° PARALLELO NORD
Cantiere Teatrale Aperto
un progetto di Lorenzo Gleijeses
prodotto da Nordisk Teaterlaboratorium e Gitiesse Artisti Riuniti
4 luglio 2016 Galleria Toledo ore 19.00:
UNA GIORNATA QUALUNQUE DEL DANZATORE GREGORIO SAMSA
Dimostrazione-spettacolo di e con Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley
Musiche originali eseguite dal vivo da Mirto Baliani
Dimostrazione di lavoro con la partecipazione attiva di Eugenio Barba e Julia Varley che reagiranno e interverranno attivamente sui materiali performativi creati da Lorenzo Gleijeses e Mirto Baliani per un progetto di spettacolo dal titolo: “Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa”.
5 luglio 2016 Galleria Toledo ore 19.00:
CORCOVADO #1
Performance di Luigi De Angelis e Lorenzo Gleijeses
a partire da un progetto di coreografia di Michele Di Stefano dal titolo “Corcovado”.
Oggetti coreografici creati da Michele Di Stefano
Con la collaborazione di Biagio Caravano
Direzione in tempo reale Luigi De Angelis
Con Lorenzo Gleijeses
Interventi musicali a cura di Mirto Baliani
Performance-dimostrazione di lavoro con la partecipazione attiva di Luigi De Angelis che interverrà in diretta sul materiale coreografico proposto da Michele Di Stefano e rielaborato da Biagio Caravano per Lorenzo Gleijeses in vista di una coreografia dal titolo “Corcovado”.
C’è un senso di spaesamento all’interno del concetto di “dromoscopia”, con cui il filosofo Paul Virilio critica l’odierna idea del viaggio, che ha fagocitato l’idea di esplorazione e di percorso in favore dell’idea di spostamento rapido, quasi istantaneo. Prendete un treno disposto parallelamente a un altro treno immobile: seduti all’interno di uno dei due convogli noi, spesso, non riusciamo a capire quale si stia muovendo. Questa sensazione, secondo Virilio, è un esempio di dromoscopia. La stessa idea di spaesamento è stata proposta come una possibile pratica dell’incontro artistico da Lorenzo Gleijeses ad alcuni compagni di viaggio, in un progetto di creazione che mette in crisi il ruolo monocratico dell’artista demiurgo, procedendo per tappe che portano sopra di esse i “segni” evidenti dell’incontro.
Ma pur partendo dallo spaesamento, «58° parallelo nord» vuole anche – e già dal titolo – marcare un’appartenenza. Il parallelo in questione è quello che passa per Hostelbro, sede dell’Odin Teatret di Eugenio Barba ma anche dell’International School of Theatre Anthropology, che della pratica dell’incontro e dello scambio ha fatto il motore principale della creazione.
Come nel gioco collettivo surrealista del cadavre exquis, i materiali di 58PN migrano da un incontro all’altro, sottoponendo all’artista successivo i risultati dell’incontro precedente, innescando così un meccanismo di trasformazione dove ogni traccia sarà evidente ma il risultato finale sovrasterà ogni individualità coinvolta. Uniche costanti: la presenza di Lorenzo Gleijeses come corpo-perfomer e quella di Mirto Baliani come contrappunto sonoro, sia per la composizione che per l’esecuzione.
I primi artisti coinvolti sono Eugenio Barba, Julia Varley, Michele Di Stefano, Biagio Caravano, Luigi De Angelis. Altri seguiranno mano a mano che il percorso, già cominciato, si snoderà lungo una serie di possibili incontri. Il loro ruolo, secondo un’idea dello stesso Barba, è quello di “primi spettatori”. Ma il loro sguardo non è uno sguardo neutro, poiché innesca il processo di trasformazione che dà senso al percorso di 58PN. Nelle due tappe del Napoli Teatro Festival vedremo due modalità possibili di questa formula di incontro artistico: il 4 luglio andranno in scena dei primi frammenti di «Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa», progetto di spettacolo futuro, esito dell’incontro con Barba, che per interpretare l’idea di mutazione insita nel progetto ha scelto di affidarsi all’immaginario di Franz Kafka. A fronte del lavoro presentato, Barba, coadiuvato da Julia Varley, interverrà secondo il dispositivo della lezione-spettacolo per spiegare la sua idea di intervento e trasformazione attorno agli elementi della performance e ai materiali creati nelle precedenti sessioni di prove.
Il 5 luglio con «Corcovado» il processo di mutazione sarà al centro della visione stessa proposta al pubblico. Si parte dagli elementi coreografici elaborati assieme a Michele Di Stefano, partendo da un immaginario sonoro che è a sua volta caratterizzato dall’idea di trasformazione: “Corcovado” è infatti un classico della bossa nova, riproposto qui nella versione elettronica degli Everything But The Girl. Ma il materiale di base passa di mano, al successivo “primo spettatore”, nell’ambito stesso della performance: Luigi De Angelis, che vedrà per la prima volta i materiali lì sulla scena, attiverà un meccanismo di mutazione attraverso il dispositivo dell’etero-direzione (già sperimentato in diversi spettacoli dei Fanny & Alexander). Se nella contemporaneità iperveloce gli unici elementi del viaggio a sopravvivere sono la partenza e l’arrivo, 58PN – che dall’idea antropologica del viaggio trae ispirazione – riposiziona lo sguardo sui concetti di “percorso” ed “esplorazione”, demandando al processo stesso il tarlo imprescindibile del senso e della forma. Una pratica che è allo stesso tempo di decostruzione e ricostruzione del processo creativo.
Progetto
58° PARALLELO NORD
3 LUGLIO 2016 h. 19,30
Villa Pignatelli – Via Riviera di Chiaia, 200
Proiezione del film
“IL PAESE DOVE GLI ALBERI VOLANO“.
Eugenio Barba, i giorni dell’Odin Teatret.”
di Davide Barletti e Jacopo Quadri
Ubulibri e Fluid produzioni
Italia, 2016, 77’
4 LUGLIO 2016 h. 11
Villa Pignatelli – Via Riviera di Chiaia, 200
“TERZA AVANGUARDIA? IL NUOVO TEATRO E IL SUO DOPO.”
Presentazione dei volumi “La terza avanguardia. Ortografie dell’ultima scena italiana.” – a cura di S.Mei, La Casa Usher, Firenze, 2015
“Il teatro e il suo dopo. Un libro di artisti in omaggio a Marco De Marinis” – a cura di F.Acca e S.Mei, Editoria & Spettacolo, Spoleto, 2014
Intervengono il prof. Marco De Marinis e Fabio Acca (Università di Bologna), Silvia Mei (Università di Pisa), il prof. Lorenzo Mango (Università di Napoli “L’Orientale”), Luigi De Angelis (Fanny & Alexander), Lorenzo Gleijeses (attore e ideatore del progetto), Julia Varley ed Eugenio Barba (Odin Teatret).
4 LUGLIO 2016 h. 19
Teatro Galleria Toledo – Via Concezione a Montecalvario, 34
Nordisk Teaterlaboratorium e Gitiesse Artisti Riuniti
“UNA GIORNATA QUALUNQUE DEL DANZATORE GREGORIO SAMSA”
Dimostrazione-spettacolo
di e con Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley
Musiche originali eseguite dal vivo da Mirto Baliani
5 LUGLIO 2016 h.18
Teatro Galleria Toledo – Via Concezione a Montecalvario, 34
Nordisk Teaterlaboratorium e Gitiesse Artisti Riuniti
“CORCOVADO #1”
Performance di Luigi De Angelis e Lorenzo Gleijeses
a partire da un progetto di coreografia di Michele Di Stefano dal titolo “Corcovado”
Oggetti coreografici creati da Michele Di Stefano
Con la collaborazione di Biagio Caravano
Interventi musicali dal vivo a cura di Mirto Baliani
www.napoliteatrofestival.it/edizione-2016/58-parallelo-nord/
www.odinteatret.dk/arrangementer/2016/juli-/eugenio-og-julia-i-napoli/una-giornata-qualunque-del-danzatore-gregorio-samsa.aspx
«Con tutti gli equivoci che comporta, vale la pena di tentare di parlare del modo in cui cresce, prende forma uno spettacolo. Significa interrogarsi su qualcosa che ha a che vedere con la vita. Si ha la sensazione che siano domande analoghe a quelle che si pongono coloro che indagano la segreta complessità del bìos».
(Eugenio Barba, Il prossimo spettacolo)
Un processo artistico iniziato nel 2015 a Holstebro, in Danimarca, presso l’Odin Teatret, al cospetto di Eugenio Barba, un processo che ha incontrato l’osservazione esterna di Julia Varley e che usufruisce della presenza costante di Michele Di Stefano (MK) e Luigi De Angelis (Fanny & Alexander). Un processo artistico che fonde la prosa e la coreografia, la fissità della parola letteraria con la Performance Art e la mobilità dell’improvvisazione, della metodologia di lavoro applicata e mostrata agli spettatori: fatica ed errori, ripetizioni, scoperte, investimento e spreco di energie, passi indietro, disorientamento, blocchi, turbolenze, impulsi nuovi ed estranei, improvvise acquisizioni, possiblità e impossibilità in una due giorni nella quale la «drammaturgia organica, dinamica e narrativa» – per dirla ancora con Barba – prende la forma informe del mutamento continuo di stato, offerto e sottoposto allo sguardo del pubblico. Un non-spettacolo, in vista di uno spettacolo che forse verrà. Non ci sono regole scritte ed è difficile anche spiegare di cosa si tratta al di là di ciò che sarà direttamente vedibile, nell’hic et nunc della presenza a Galleria Toledo: salti da una dimensione all’altra, salti da uno stato di coscienza ad un altro, con imprevedibili conseguenze (sensoriali, mentali, fisiche) che potranno avvertirsi tanto sul palco quanto in platea.
Come agisce e reagisce il corpo di un performer alle sollecitazioni di chi ne fa materia compositiva? Che metodo utilizza Eugenio Barba e come possono essere tramutate le acquisizioni da lui raggiunte nel momento in cui intervengono su di esse – secondo la propria poetica – Michele Di Stefano e Luigi De Angelis? E cosa resta o cosa viene dimenticato, perduto o abbandonato durante la fase di creazione? Come viene costruito un gesto, l’atto della condivisione di una parola o di una frase, un movimento del corpo in rapporto allo spazio, un istante di teatro? E ancora: come disponi il tuo corpo verso l’esterno? E chi sei (o chi diventi) nel momento in cui incontri l’altro?
Mostrare il logorìo che precede una messa in scena, la fattura artigianale della pre-visione teatrale, condividere il dolore e il disagio della condizione di chi non è ancora personaggio (e non è detto che lo diventi), di quel che non è teatro nella sua forma canonica, strutturata e replicabile; generare ed offrire un momento di vita (l’artista nell’atto solitamente riservato e nascosto dell’ideazione e realizzazione di sé e/o della sua opera), consentire l’apertura del “nostro antro scuro” (Eugenio Barba) perché sia conosciuta l’insieme di prassi, strategie e discipline, che costituiscono la lunga strada verso la realizzazione e la formalizzazione di uno spettacolo. Condividere un pezzo di questa strada con i presenti.
«In che cosa consiste il nostro lavoro se non nel seguire tracce semicancellate, nel comprendere indizi lasciati cadere da una forza che ci accompagna, in maniera a volte consapevole, a volte inconsapevole?» si chiede Barba. Ebbene, la dimostrazione-spettacolo consente al pubblico di (ri)conoscere questo sentiero di tracce semicancellate e di comprendere gli indizi celati dentro o dietro ciò che poi diventa il risultato estetico; si tratta di un atto di avvicinamento alla natura stessa del teatro che – prima d’essere composita costruzione visiva che replica se stessa di sera in sera – è messa in discussione costante delle certezze acquisite, confronto e superamento dei propri limiti, passo in avanti compiuto a forza di inciampi. Processo formativo in assito, processo formativo anche per coloro che osservano perché lo stesso spettatore prende coscienza di quel che non conosce e non può normalmente osservare ovvero ciò che gli è del tutto estraneo; formativo perché la sua percezione (presente e futura) del teatro ne risulta inevitabilmente modificata, perché ne muta la consapevolezza e dunque la capacità di lettura di quello che vedrà domani, ritornano in platea.
«Spesso la scelta di fare teatro è la risposta difficile ad una situazione difficile. È un modo di vivere una libertà che è libera solo se i risultati del proprio lavoro riescono ad influenzare altre persone ed a trarle dalla propria parte. È un modo di inventarsi una propria identità, che si rivela a noi attraverso un lavoro meticoloso e insieme tempestoso. Alcuni credono che tempesta e meticolosità appartengano a due compartimenti stagno, che i problemi tecnici, la professionalità e la precisione artigianale non abbiano a che vedere con la turbolenza, con gli impulsi alla libertà, alla distruzione, alla rivolta, al rifiuto. Non è vero» (Eugenio Barba, L’ordine profondo chiamato turbolenza).
Mostrare il modo d’inventarsi una propria identità, mostrare quest’insieme di lavoro meticoloso e tempesta che è il teatro, mostrare che la turbolenza ha a che fare con la professionalità e che la rivolta può essere una scelta meticolosa. Mostrarlo per (tentare di) influenzare altre persone e trarle dalla propria parte.
Primo giorno. Due ore nelle quali Eugenio Barba monterà, smonterà, rimonterà i materiali di un processo creativo iniziato da un anno e che ha in Lorenzo Gleijeses il suo oggetto/soggetto, ad un tempo materia attiva e passiva. Azioni fisiche, dinamiche del corpo nello spazio, uso del testo o di parte di esso, presenza delle luci di scena, scelta dei costumi, evocazione e accompagnamento sonoro-musicale.
La notte come momento di gestazione e di riposo, di sedimentazione, di pausa. Poi il secondo giorno.
Luigi De Angelis dirige Lorenzo Gleijeses riformando (tra conferme e mutazioni) tanto il lavoro compiuto nella giornata precedente quanto quello svolto dal performer – a partire dall’estate del 2015 – sotto la guida di Michele Di Stefano. Un cortocircuito creativo che fa convergere sulla stessa materia lo sguardo, le azioni, le convinzioni artistiche, le capacità generative di tre tra i più importanti Maestri o esponenti del teatro del Novecento e del primo quindicennio degli anni Duemila. L’etero-direzione, ovvero la comunicazione mediata da un apposito dispositivo tecnologico, tra regista e attore: questo, nello specifico, vedranno gli spettatori. L’ordine, la messa in pratica nella sua forma meccanica, la libertà che ne scaturisce.
«Un aspetto di cui non si tiene sufficientemente conto» – scrive Valentina Valentini in Mondi, corpi materie – «è che l’effetto delle tecnologie non è a senso unico, non si coglie soltanto nella smaterializzazione dei corpi, in un mondo di apparenze e di simulacri, in quanto agisce ambivalentemente tra virtuale e sensoriale (organico), fra imbalsamazione e resuscitazione (dell’aura), amputazione ed estensione (delle facoltà cognitive)».
Dalla ricerca di metà Novecento alla ricodificazione della scena teatrale (e visuale) per mezzo della nuova avanguardia.
Convivono dunque la sequenza montata e la frantumazione d’ogni forma, l’organico e l’inorganico, le molteplici strategie del figurale, l’uso di dispositivi tecnologici con la carne pulsante dell’attore, capace di farsi avatar del regista; convivono la natura animale e massmediale dell’interprete, il real time del teatro con l’attimo che separa il comando dalla sua effettiva esecuzione. Transitività, smontabilità, momentaneità, esaltazione della natura friabile e passeggera del teatro, arte destinata a consumarsi con la sua realizzazione, vita che lascia spazio alla morte vivendo, per rivivere ancora ed in modo rinnovato, differente.
«Le pieghe di un’opera d’arte vanno amate e devono diventare un’opportunità. Spesso, per esempio, nell’idea di rivoluzione, di cambio radicale di un orizzonte, si pensa di dover asfaltare le pieghe e ricominciare da zero. È qualcosa che è molto lontano dalla mia visione […] perché asfaltare, togliere le pieghe, significa eliminare l’opportunità di osservare anche i guasti che esistono e che in qualche modo devono essere assunti, fatti propri per ribaltarli verso l’esterno».
(Luigi De Angelis, Sui Discorsi)
«La Nuova Teatrologia considera le opere, siano essi testi o spettacoli, dal punto di vista processuale, ovvero dal punto di vista performativo. Il che la porta a mettere l’accento, come fanno i Performance Studies, sugli aspetti performativi dei fenomeni teatrali: a) il fatto che essi consistano di relazioni (a cominciare dalla relazione attore-spettatore) più che di opere-prodotti in senso proprio; b) il fatto che essi, più che di opere-prodotti, consistano di eventi, ovvero, con una terminologia che si sta diffondendo oggi, di “pratiche a flusso”, non facili da delimitare e neppure da oggettivare; c) il fatto che in essi sia molto importante (e comunque sempre presente: in quanto elemento costitutivo) una dimensione di ostensione, di presentazione, di materialità autosignificante, insomma di rinvio a sé, oltre e prima che di rinvio ad altro da sé, di presenza oltre e prima che di rappresentazione, di produzione (di senso, di realtà) oltre che prima di riproduzione».
(Marco De Marinis, Il teatro dopo l’età dell’oro)
Parole-chiave, dunque: relazione, evento, presenza e non rappresentazione, produzione invece di riproduzione.
1) offerta della manipolazione alla quale la performance sottopone il corpo del performer, elemento fondatore e indispensabile di ogni atto performativo 2) offerta della manipolazione dello spazio che il performer vuota per ritagliarlo e abitarlo fin nei suoi più piccoli recessi 3) offerta e messa in pratica cangiante della relazione che la performance istituisce fra l’artista e gli spettatori, gli spettatori e l’opera (o le sue fonti), l’opera (o le sue fonti) e l’artista.
Le opere performative non sono né vere né false. «Esse accadono» (they happen)
(Richard Schechner)
«Il teatro performativo tocca la soggettività del performer. Questa soggettività decostruisce le identità, ne sovrappone delle altre, mostrando le nostre identità mutanti […]. Al di là dei personaggi evocati, essa impone il dialogo dei corpi, dei gesti e tocca la densità della materia».
(Josette Féral, Teoria e pratica del teatro)
Nel suo elemento di assoluta novità, questa esperienza al Napoli Teatro Festival Italia certifica anche la necessità critica (di coloro che la esercitano come professione ma anche come attitudine in quanto spettatori teatrali) a ridefinire in maniera continua e incessante la percezione del teatro ed il rapporto con esso e con siò che è in grado di proporci. Nessuna teoria generale è più possibile, ed è un dato ormai acclarato: l’offerta pluridisciplinare (o transdiciplinare, se si preferisce) che la performance-spettacolo definisce ci fa critici e spettatori volutamente in-disciplinati, “postdrammatici”, anche noi performativi in qualche modo.
«Sono interessato all’origine e alla produzione di linguaggio laddove questo linguaggio riesce a restare sul piano della “significanza” (usando un termine della linguistica), cioè sul piano del rinvio continuo di senso. Mi interessa quella soglia che non si compie sul piano contenutistico ma continua a mantenere una possibile ambiguità, la stessa che cerco di definire nella presenza corporea».
(Michele Di Stefano, intervista ad Artribune)