—- Sarebbe legato alla forma laboratoriale, questo “Falstaff napoletano” non è il primo incontro di Martone con Shakespeare.
L’unico suo testo che ho messo in scena è stato nel 1992, Riccardo II. E i frammenti di Falstaff attorno a cui lavoriamo ora provengono da Enrico IV, che è il “seguito”, narrativo e dinastico, del Riccardo II, sebbene noi circoscriviamo le gesta di Falstaff al suo mondo. Anche se Enrico IV è un testo meraviglioso per la complessità e l’alternanza dei due piani, per noi l’esigenza del “taglio” viene dal fatto di essere un laboratorio per giovani attori. Fondato sulla presenza di un attore importante, in possesso dell’età e dell’esperienza per affrontare Falstaff: Renato Carpentieri, che era già presente nel Riccardo II (impersonava entrambi gli zii). La sua presenza non è solo di attore, ma di fatti di conduttore del laboratorio assieme a me, a Raffaello Di Florio, Anna Redi che cura il training, e Alberto Ferraro cge conduce il laboratorio di Nisida con i detenuti. Avendo tutti ben chiaro che gli spettatori vedranno i risultati di un laboratorio in fieri, limitato ad alcune scene e ad alcuni spunti attorno al personaggio di Falstaff.
—- Perchè nel titolo viene definito “laboratorio napoletano”?
Non sarà per semplici ragioni logistiche….
Perchè verranno usate le due lingue di cui gli attori napoletani dispongono, l’italiano e il napoletano. A differenziare linguisticamente i due mondi: da una parte quello del principe Hal e di Falstaff, e dall’altra quello con cui pure sono a diretta contatto: quello dell’osteria, dei ladri, dei “favoriti dalla luna”.
—- Come funziona, per ragazzi che provengono da Nisida, e quindi con un passato complicato alle spalle, il confronto con la gozzoviglia e le maleffatte della banda di Falstaff?
Un piano molto interessante per me è proprio la dimensione mimetica. Il principe Hal si mescola agli altri, anche attraverso la lingua, come è chiaramente esplicitato anche in certe battute del testo. Si impossessa di questa lingua per potersi confondere col popolo che governerà. E’ questo piano di mimetizzazione noi a napoli lo conosciamo molto bene. E’ il modo in cui si mescolano le società, o le ricchezze di varia provenienza: quelle aristocratiche e quelle di dubbia origine. La questione posta da la Capria ne L’armonia Perduta, quella delle due lingue, che sembrava oscurata lungo gli anni Novanta, mi pare che ora sia tornata in maniera miolto forte. La città vive in questo rapporto di mimetizzazione: quando si dice che Napoli è tornata ad essere minacciosa (e spesso lo è), è difficile nelle strade identificare questa minaccia, come attribuirle immediatamente un quartiere d’origine, una classe sociale, un’appartenenza. Questa minaccia si trasforma, passa da un ambiente all’altro.
Questo per dire che il laboratorio non parla di Napoli, ma ne usa degli strumenti peculari, per prlare di Falstaff e del suo mondo. In questo senso è possibile l’integrazione tra attori giovani (nati negli anni Ottanta, qualcuno nei Novanta) e i ragazzi di Nisidia. Nello steso tempo i ragazzi di Nisidia compiono l’esperienza di un lavoro con attori professionisti, dall’analisi del testo alla traduzione alla messa in scena. Io lavoro con tutti alla stessa maniera, tutti si trovano a confronto, attraverso un racconto di secoli fa, con dinamiche che possono riconoscere.
—- Nel suo Falstaff prevarrà il suo lato simpatico e mascalzone, o quello che oggi diremmo “antipolitico”?
C’è soprattutto un aspetto “generazionale”: nelle’Enrico IV si fa continuo riferimento aun mondo che si è trasformato, come spesso succede con il racconto delle grandi battaglie epiche ed epocali, a cominciare dall’Iliade. nel nostro caso c’è un acre contrasto tra la forte “contemporaneità” di questi ragazzi e la dimensione quasi “demodè” di Falstaff. Per lui la rapina è ancora un gesto “romantico”, seppure criminale, originato dal bisigno di procacciarsi da vivere; mentre oggi rappresenta solo un macabro gioco rituale, fine a se stesso. Il Falstaff a cui lavoriamo esprime soprattutto questo passaggio temporale, questa distanza; e lo sconvolgente cinismo di Hal, la sua freddezza e il vuoto che sente dentro di sè ci dicono qualcosa di un tempo successivo in cui non c’è spazio per morali di nessun tipo, fatto solo di maschere e automatismi.